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The 25th Hour - Capitolo 3: - 13 ore e 48 minuti;

.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 3


- Adamanta, Percorso 289 (divide Solarea da Miracielo)

“E quindi cercate uno dei meteoriti caduti a Campo Miracielo?”.
Pat e Fiammetta seguivano il passo svelto di Bernard che, con Aipom in equilibrio sulla sua coppola, apriva la strada alle due.
“Sai per certo della caduta delle rocce dal cielo, ragazzino?” chiese la rossa, mentre i suoi passi cominciavano a farsi più stanchi; aveva bisogno di un caffè. Sapeva che facesse male berne troppo e quindi di tanto in tanto alternava con del sanissimo tè verde ma non riusciva a prendersi in giro più di tanto: preferiva il caffè.
“Sì, l’altra sera io e Millicent Perkins eravamo qui e...”.
Fiammetta sorrise. “Chi è questa Millicent? Una ragazzina che ti piace?!” sfotté.
Pat la guardò, pensando che fosse inopportuna, ma poi sorrise quando vide il ragazzino avvampare.
“No! Non mi piace! Eravamo solo venuti a fare una passeggiata!”.
“Prosegui...” sospirò la mora, facendo segno di andare avanti con la mano.
“C’erano le stelle cadenti, ed è strano, non è sotto Natale che le vediamo spesso... succede intorno al Pianto delle Stelle, in agosto. Ma è successo... erano tante, e una, più luminosa, seguiva le altre che scappavano davanti. Sembrava come... stanca? Beh, alla fine è scesa qui… Millicent ha avuto paura ed è scappata ma io ho preso un pezzo della stella”.
Fiammetta spalancò gli occhi. “Davvero?!”.
“Sì, la porto con me da quando l’ho presa, guarda” fece il ragazzino, tirando fuori dalla tasca un frammento bianco di roccia. Fiammetta lo prese nelle mani, affascinata, pensando di stringere qualcosa che avesse attraversato l’atmosfera.
Quel pezzo di meteorite era argenteo e emanava luce propria.
“È bellissimo” sorrise Pat. “Le comete che compongono lo sciame attorno alla stella di cui parliamo sono così. Dobbiamo vederle... Sarebbe la conferma che ciò che cerchiamo è sveglio”.
“Cosa?!”.
Pat lo rimbalzò totalmente. “Sembra davvero un frammento di quelle stelle. Come regola dovrebbero esser cadute tutte, tranne quella più luminosa, che ha proseguito il suo percorso nel cielo”.
“Volete rispondermi?!” urlò Bernard.
Le ragazze rimasero in silenzio, poi ripresero a camminare.
“Spiegatemi!” urlava quello, inseguendole e tirandole per gli avambracci. “Voglio sapere anche io!”.
Pat sorrise e carezzò il piccolo sulla guancia. “Non ce n’è bisogno, Bernard. È pericoloso”.
Il ragazzino si fermò. “Allora non vi accompagnerò”.
“Dai, non fare così!” esclamò Fiammetta.
La moretta sospirò e si fermò per un attimo, fissando la collega negli occhi. “Raccontiamoglielo… Non farà nulla di male, è un bravo ragazzo”.
“E se poi usa Jirachi come vuole lui?!”.
Bernard spalancò gli occhi. “Jirachi?! Il Pokémon che esaudisce i desideri?!”.
Nella testa di Fiammetta esplose la voce di Pat.

“Testona, gli hai detto tutto...”

La rossa spalancò gli occhi e fissò la ragazza, che ancora la guardava corrucciata.
“Sento la tua voce!” esclamò, terrorizzata.

“Finiscila, sembri impazzita, e ascoltami. Meno persone sanno di Jirachi e meglio è. Bernard è ancora un ragazzino e con un blocco di cioccolata e comprando qualcuna delle sue bibite potremmo garantirci il suo silenzio, ma quel Pokémon ha un potenziale assurdo... Il fatto che riesca ad esaudire dei desideri lo rende appetibile a chiunque. E dobbiamo prenderlo noi! Chiaro?”

“Tutto chiaro...” annuì la rossa, infilando le mani nelle tasche.
Bernard si voltò, stranito. “Ma con chi diamine stai parlando?”.
“Ne-nessuno”.
“Insomma, vi decidete a rispondermi?”.
“Sì, dobbiamo desiderare che sia messo tutto a posto”.
Gli occhi di Bernard s’illuminarono improvvisamente, come quella volta che vide una banconota da cinquanta Pokédollari svolazzare verso di lui, nella piazza. Quello avrebbe significato che, almeno per qualche tempo, avrebbe smesso di rubare le monetine nella fontana della piazza.
“Quindi... quindi anche io potrei esprimere un desiderio, giusto?!”.
Fiammetta guardò immediatamente Pat. “No, non è così, Jirachi serve alle persone di Hoenn e...”.
“Ma io ho bisogno di lui! Voglio diventare ricco ed esprimere i miei desideri!”.
Pat sorrise dolcemente, guardando la sua camicia consunta e il buco sul cappello.
“Non preoccuparti per quello. I soldi arriveranno ma tu dovrai essere un brav’uomo a farne l’uso adatto”.
Quello guardò i profondi occhi della donna di Verdeazzupoli e sospirò, quasi attraversandola. “Io…” cominciò. “Io sono solo un ragazzino, lo so, ma sono stanco di stare per strada a tirare quel carretto. Eppure è l’unico modo con cui riesca a portare qualche soldino a casa”.
Camminavano ancora, cominciando una salita impervia. Erano alle pendici della collina di Miracielo. Le fronde, qua e là, venivano spazzate dal vento mentre qualche Caterpie selvatico osservava gli avventori tra le radici annodate degli alberi.
“Sono stanco di dover guardare gli altri bambini coi loro palloni, e i gelati, e i vestiti caldi e puliti. Mia mamma fa quel che può ma non riusciamo da soli, col suo lavoro e con la piccola che sta per nascere”.
“Wow... Ed il tuo papà?” domandò Fiammetta, quando Pat spalancò gli occhi e strinse i pugni, comunicando di nuovo con lei, telepaticamente.

“Non hai sentito Rupert?! Ha inteso che il padre non ci fosse più!”

Fiammetta non s’aspettava di sentire nuovamente la voce di Pat e, impanicata, scivolò e cadde con le ginocchia per terra, affondando le mani tra aghi di pino e rami secchi.
“Pat... per favore! Non farlo più!” urlò lei, facendo alzare in volo qualche Pidgey.
“Mio... mio padre...” s’incupì ancor di più Bernard. “... mio padre è morto quest’inverno, durante un incendio a Plamenia... in un palazzo”.
“Beh... almeno tu e tua mamma state bene. E la piccola, certo. Come si chiamerà?” cercò di sviare Pat.
“Jessica”.
Pat gli carezzò una guancia e sorrise ancora. “Se avrà i tuoi occhi sarà la bimba più bella di tutta Adamanta”.
“Dopo Millicent Perkins” sorrise Fiammetta, facendo voltare Bernard, pronto a darle un’occhiataccia.
“Smettila!” esclamò, nervoso. “E comunque… vorrei che la mia famiglia stesse bene. Vorrei che mia madre si potesse riposare e vorrei che Jessica nasca e cresca tranquilla”.

“Ha solo otto anni e già ragiona così...” fece Pat, telepaticamente.

“Già” le rispose Fiammetta.
Bernard si voltò verso di lei, nuovamente, accigliato. “Ma perché parli da sola?”.
“Non parlo da sola! È che Pat...”

“Non gli dire anche questo, per cortesia!”

“Pat?” domandò curioso il ragazzino dagli occhi neri.
“Pat... Quello è uno Steelix?” domandò poi, vedendo il grande Pokémon attraversare velocemente la radura a qualche centinaia di metri da loro.
Bernard si voltò. “Sì, lo è. Il mio papà ne aveva uno. Sapete, lavorava come operaio. Non guadagnava molto, anzi... però quando poteva mi portava sempre a giocare a basket, ai campetti privati vicino alla Palestra”.
“Ti piace il basket?” chiese Fiammetta.
“Molto. E costava abbastanza comprare il campo per un’ora... ma giocavamo e ci divertivamo... Però mi venivano i crampi nella pancia quando vedevo la sua faccia quando doveva pagare”.
Fiammetta e Pat sospirarono. Quanto sarebbe potuto costare quel campo, un biglietto da dieci? Cose di tutti i giorni per loro.
Ma per Bernard e la sua famiglia equivaleva a un pranzo e una cena.
Quel ragazzino se lo meritava, un desiderio.
A otto anni tirava il carretto con le ruote rotte in piazza.
Avrebbe dovuto giocare a calcio con gli amici, tenendo la mano a Millicent Perkins, invece di lavorare.
“Andrà tutto bene, non preoccuparti” disse la moretta. “... tutto bene...”.

Stavano salendo la collina, la passeggiata era piacevole, quando videro un’ombra attraversare il bosco adiacente. Era scura e parecchio veloce. Impaurito, un Deerling tagliò il percorso che i tre stavano seguendo. Saltò nell’altro versante, nascondendosi tra i cespugli e qualche tronco intrecciato.
I tre si bloccarono.
“Cos’era?” domandò Fiammetta.
“Sarà un Pokémon... Spesso dei Liepard s’aggirano per questi posti” rispose il ragazzino, stupito.
Pat però vedeva l’aura azzurra e glaciale, la stessa aura che aveva visto qualche ora prima in piazza; apparteneva all’uomo col cappuccio che  aveva urtato Fiammetta, senza girarsi.
Non disse nulla però, rimanendo in silenzio.

- 13 ore e 48 minuti;

Oliver aveva superato le due donne e il ragazzino, cercando di fare quanto meno rumore possibile. Un Deerling fortunatamente, con il suo balzo sul percorso centrale, aveva costretto i tre a fermarsi, consegnando tra le sue mani un tantino di tempo, bastevole a dargli il vantaggio di raggiungere per primo la sommità della cima della collina.
Una volta arrivato lì non si curò né della natura né del panorama.
Non se ne sarebbe mai reso conto, ma si stava comportando come un vero e proprio ladro, con la fretta di chi aveva paura di essere scoperto. Scavalcò con un agile salto le panchine e si ritrovò proprio dove erano caduti dal cielo quei frammenti di stella.
Erano bianchi, quasi argentei.
E più in là aveva visto una scia di polvere splendente che, camminando giù per la collina, aveva formato un percorso luccicante.
Ji-jirachi...


Guardò l’orologio, mancavano poco meno di quattordici ore e l’ansia stava crescendo. Pensò a Sonia, al suo cuore che batteva, che batteva ancora e che poi non batteva più. Pensò a Roxanne, alla sua voce e agli occhi che aveva, gli stessi che aveva poi consegnato alla loro bambina quando era nata.
Pensava alle abilità di Roxanne, a come era affascinato quando lei raccontava le sue avventure tra le stringhe degli universi.
Roxanne era speciale e con Sonia, Oliver, aveva ottenuto tutto ciò che voleva.
Ma poi sua moglie morì e la loro bambina diventò tutto ciò che era rimasto dei loro progetti.
Il frutto del loro amore.
Oliver vedeva tanto di Roxanne in sua figlia. Per gli sguardi che lanciava quando s’innervosiva, e quel sorriso forzato quando doveva ridere, per cortesia e gentilezza.
E che fosse dannato, quanto gli ricordava Roxanne quando avevano quei battibecchi che lui vinceva sempre, perché avvocato, perché aveva votato la sua vita alla parola, e lei voltava la faccia imbronciata dall’altra parte.
Sonia era tutto quello che gli era rimasto di Roxanne.
E l’avrebbe protetta a costo della sua stessa vita.
Sospirò, trenta secondi erano passati ed erano troppi.
Sonia doveva ricevere quel cuore assolutamente, così avrebbe vissuto in pace il resto della sua vita. Doveva trovare assolutamente Jirachi.
Prese a percorrere il versante scosceso della collina, seguendo la scia argentata, scendendo attraverso il bosco.
Avrebbe vinto lui.

Dieci minuti dopo, Pat, Fiammetta e Bernard avevano raggiunto la sommità della collina: quattro panchine erano disposte ai lati di un quadrilatero immaginario, molto ampio.
L’erba era abbastanza alta in alcuni punti, in alti era rada. Cresceva una grossa quercia, proprio verso il centro.
Alcune ghiande erano cadute e rimanevano ai piedi dell’albero, come figli bisognosi al cospetto d’una madre. E poi, verso il bordo a sud del promontorio, vi erano diversi fossi, con detriti biancastri.
“Ecco lì! La stella!” fece Fiammetta, avvicinandosi.
Raccolse uno dei frammenti della stella e lo guardò: solido e biancastro, l’impatto con l’atmosfera aveva dapprima sgretolato e poi compattato i detriti che poi s’erano schiantati sul suolo.
Fiammetta poi vide un’orma affondata nel fango.
Guardò Pat. “È stato qualcuno, qui”.
“Avevo avvertito qualcuno nel bosco. La stessa persona che ti ha urtato in piazza”.
“Quello col cappuccio?”.
Pat annuì.
“Questa allora è la sua orma?” domandò Bernard.
Fu Pat a guardare Fiammetta, quella volta; la rossa annuì. “Sicuramente è lui. Avresti dovuto dircelo prima”.
“Non so perché l’abbia voluto omettere. È che non mi sembrava una minaccia”.
Poi Bernard le interruppe.
“Qui c’è una scia di polvere argentata”.
Le due s’avvicinarono al ragazzino, che s’era abbassato per raccoglierne un po’ col dito.
“È Jirachi” disse Pat, sicura. “Riesco a sentirne l’energia”.
“L’ultima volta s’è nascosto in una grotta” s’inserì poi Fiammetta.
“Un posto coperto dalla luce del sole, al sicuro”.
Quella di Cuordilava si voltò con forza verso il ragazzino. “C’è una grotta da queste parti?!”.
“Sì, c’è la Grotta delle Lanterne” rispose Bernard, puntando il dito verso un massiccio posto a nord. “È proprio lì”.
Fiammetta e Pat voltarono il viso nella direzione indicata dal più piccolo e quindi annuirono.

“Non è lontano, Fiammetta. Sarà sicuramente lì, Jirachi” disse Pat, ma solo nella mente.

“Hai ragione, dobbiamo arrivare a Jirachi prima di quella persona”.
“Tu sei pazza...” tuonò Bernard, dall’alto del suo metro e cinquanta. “Comunque andiamo immediatamente lì”.
“Andiamo?!” chiese Fiammetta, sgomenta. “No, sta per diventare troppo pericoloso e il tuo compito era accompagnarci fin qui. L’hai svolto, ora torna dalle tue bibite”.
“Ma neanche per sogno!” protestò quello.
Pat annuì. “Fiammetta non ha tutti i torti, Bernard... Può diventare davvero pericolosa, la situazione; insomma, non conosciamo chi sia quella persona e per quale motivo voglia Jirachi anche lui. Potrebbe essere uno psicopatico”.
“Non tornerò mai a casa, ora! Vi ho portate io qui e vi ho aiutato anche a localizzare la Grotta delle Lanterne! Me lo merito!”.
“Ti meriti il rischio di morire?!” chiese Fiammetta, sarcastica.
“... sì. Qualunque cosa sia, ci sono mani e piedi dentro quanto voi!”.
“Hoenn non ha nulla da vedere con Adamanta...” fece Fiammetta, cominciando a voltarsi per valutare la discesa dalla collina.
“Oh beh! E secondo te il Magmortar che ha dato fuoco a Plamenia non è stato aizzato da Arceus e spaventato dai terremoti?! Secondo te è stato tutto casuale?! Io vi aiuterò a trovare Jirachi ed insieme desider... desidere... insomma, esprimeremo il desiderio che la furia di Arceus non fosse mai stata scatenata!”
Pat spalancò gli occhi, stupita. “Tu come sai tutte queste cose?”.
“Ho sentito Rupert e una ragazza dai capelli neri che ne parlavano, il giorno dell’onda gigante. Ho le orecchie lunghe”.
“Si vede!” esclamò Fiammetta, vedendo Pat sorridere ancora, dolcemente.

“Stiamo perdendo troppo tempo, e lui non mollerà, è coraggioso ed ostinato”.

Fiammetta sospirò. “Ok, ok, lo proteggerò io. Ma dovremmo andare”.
Bernard spalancò gli occhi e sorrise. Poi si crucciò. “Un momento! Io non ho bisogno di protezione, ma mettiamo il caso succedesse qualcosa, pensaci tu, Pat: Fiammetta parla da sola e io ho un po’ paura di lei…”.
Fiammetta sorrise e diede una pacca energica sulla spalla del piccolo. “E fai bene”.
- 13 ore e 12 minuti;

La Grotta delle Lanterne era davanti a lui.
Guardava ancora l’orologio, Oliver, e sentiva lo stomaco tirare con forza. Decise di chiamare sua figlia.
Squillava.
Non rispondeva.
Continuava a squillare.
Rispose.
“Sonia, amore. Come va?”.
Quella tossì. “Papà... ma dove sei?”. La voce della bambina non era mai stata così debole.
“Sono... sono...”. Pensò per qualche secondo ma non riuscì a cavar fuori nulla che non allarmasse la figlia.
“Perché non sei qui? Ho bisogno di te...”.
Oliver portò una mano ai fianchi mentre spingeva con l’altra il cellulare all’orecchio. “Tranquilla, tra poco papà sarà lì da te. Tu non sforzarti...”.
Sonia tossì ancora. “Ancora sangue, papà... è questo che succede quando si muore?”.
A quelle parole, l’uomo fu investito da un terrore nero e denso, che lo costrinse a battere i denti, sconvolto. Una mano coperta di spine gli stava stritolando lo stomaco, gl’intestini, il cuore e i polmoni, e una lacrima salata scappò dalle rime degli occhi, rigando la guancia sporca di polvere.
Sospirò. Si sentiva debole e vulnerabile, e totalmente impotente. Con quella storia di Jirachi s’era giocato il tutto per tutto.
“Non dire così, bimbetta! Resisti, il cuore sta arrivando!” esclamò, con la voce rotta dal pianto.
“Papà… non piangere... altrimenti...” tosse e lamento di dolore. “... altrimenti farai piangere anche me...”.
“Mi dispiace tanto, piccola mia...” rispose, col cappuccio nero alzato sulla testa e i piedi congelati, mentre l’antro davanti a lui produceva un rumore sinistro. Vedeva del gas fuoriuscire ad altissima pressione dal terreno e dirigersi verso la volta bucata ogni circa dieci metri, in modo da permettervi l’espulsione.
Non sapeva se quel gas fosse tossico né se potesse ucciderlo, ma vedeva dei Pokémon muoversi nella grotta senza problemi e quindi sciolse ogni riserva su quel dubbio.
“Papà, non stare male per me... forse è meglio così”.
Oliver spalancò gli occhi, incredulo per quelle parole. “Non è meglio così!” tuonò lui. “Non smettere di resistere! Devi lottare! Presto avrai il tuo cuore nuovo, non preoccuparti!”.
“Ma dove sei?”.
“Ti sto scegliendo un Pokémon nuovo. Una volta che starai meglio t’insegnerò a combattere”.
La sentì sorridere. “Diventerò forte come te?”.
“Di più. E partirai per il tuo viaggio. Batterai anche il Campione d’Adamanta”.
“Io...” tossì nuovamente. “... io lo spero. Ma ora vieni qui, il Pokémon lo scegliamo dopo, assieme”.
“No, ho quasi finito, bimbetta”.
Un secondo di silenzio. “Papà, i dottori mi guardano con un’aria strana...”.

Certo che ti guardano con un’aria strana, amore, pensò Oliver.
Stai per morire...

“Stai tranquilla e rilassati. Finisci di leggere il tuo libro. A che pagina sei arrivata?”.
“Quattrocentosessantadue. Questo libro che mi ha regalato Mia mi piace molto. L’ha scritto davvero lei?”.
“Finiscilo, poi la andremo a trovare”.
“Papà” sorrise la bimba. “Come mai tutti questi regali? Il mio compleanno è lontano”.
“Sì, lo so. Ma tu ti meriti tutti i regali del mondo”.
“Grazie” sorrise ancora. “Ti chiamo dopo”.
“Sì” disse Oliver, guardando l’orologio. “A dopo”.
Attaccò immediatamente per poi immergersi nel buio incostante della grotta, illuminata da grandi fasci di luce che penetravano dal soffitto, con la paura di non farcela ma il coraggio di chi non poteva sbagliare.

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