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Levyan - Nubian - 12 - Medusa


XII
Medusa


Blue schiacciò la sigaretta con il piede, non sapeva da quante ore fosse in piedi. Green era crollato pochi minuti prima sul divanetto della sala d’attesa, Kalut era scomparso da un po’, come al solito.
Il sole stava facendo capolino dalla linea dell’orizzonte, i suoi raggi accendevano di luce tiepida e rossastra gli sterminati paesaggi innevati di Sinnoh. A Blue tremavano le mani, le sue falangi violacee avevano ormai perso sensibilità e lei non riusciva più a compiere dei movimenti fluidi e precisi. Era su quel balcone da quasi mezz’ora e aveva dato fuoco a mezzo pacchetto di Marlboro.
Solo nel momento in cui il cielo decise di mostrarle il sole, il suo animo riuscì a calmarsi. Le sembrava di avere un alveare al posto della testa, un alveare in cui i suoi duemila problemi ronzavano incessantemente. Era stanchissima, ma non abbastanza da crollare, era terribilmente agitata, ma non abbastanza da entrare nel panico. Si trovava in quella zona grigia in cui i problemi non hanno mai soluzione. Un indefinibile numero di ore prima, aveva scoperto che Ruby e Sapphire sarebbero stati interrogati dalla polizia per aver rischiato la vita sul Monte Corona e che Gold, Platinum e Celia erano in trappola, nel bel mezzo di una guerriglia civile, ad Austropoli. Aveva provato in tutti i modi a collegarsi con uno di loro, ma le linee telefoniche sembravano non funzionare, nella capitale di Unima. Per quanto ne sapesse, potevano anche essere già morti.
Blue si stava accingendo a rientrare all’interno dell’ospedale, ma decise di attendere ancora qualche istante, stringendosi nel cappotto pesante e lasciando che la sciarpa le carezzasse le guance. Quella notte c’era stato un folto viavai di medici, infermieri e pazienti, la Dexholder aveva osservato quel flusso di esseri umani senza interessarsi al minimo particolare. Tuttavia, nel momento in cui stava per voltarsi e imboccare l’entrata, posò gli occhi su due individui che stavano passando accanto a lei, anch’essi intenzionati ad entrare nell’ospedale. I due uomini portavano dei pesanti cappotti scuri, sotto i quali erano nascoste delle cravatte che facevano capolino dalla collottola. Erano strani, la sua mente acuta non poté far a meno di notarlo: non avevano l’aspetto preoccupato e familiare di coloro che si recavano a trovare un parente e di sicuro non erano medici o altri addetti ai lavori. Blue decise di tenerli d’occhio, ma questi ultimi ricambiarono il suo sguardo senza accennare alla minima emozione, finché non la superarono. Gli occhi gelidi, le labbra sottili e serrate.
“Dovreste essere discreti” pensò la ragazza, prima di entrare con un ritardo di qualche secondo rispetto ai due uomini sospetti.
Qualche minuto più tardi, in una delle stanzette, Green fu svegliato dal suo sonno inquieto dalle indelicate mani di Blue.
«Che succede? Si sono svegliati?» chiese lui, con la voce pastosa e gli occhi semichiusi.
«Non lo so, ma ho visto qualcosa» fece lei, prima di spiegargli i particolari del suo incontro fortuito.
Green ascoltò attentamente, stropicciandosi gli occhi.
«Non hai pensato che magari sono solo due persone normalissime con la buona abitudine di vestirsi bene?»
«Green, hanno chiesto di parlare con il primario e hanno avuto il permesso seduta stante» aggiunse la ragazza «nessuno ordina un incontro col capo e viene accontentato, dai...»
«Ok, quindi è possibile che questi siano gli uomini mandati dalla Faces per occuparsi di Ruby e Sapphire?»
«E’ sicuro, dobbiamo portarli via prima che loro riescano a capire che cosa sia successo».
«Uff» Green rimuginò per qualche secondo «va bene, improvvisiamo una strategia, se Sapphire è quella che si trova in condizioni migliori, potrei provare a chiedere il suo aiuto» cominciò a pensare Blue, imboccando la porta e gettandosi nel corridoio.
«Forse dovremmo soltanto...» la lingua di Green si bloccò spontaneamente.
I due Dexholder, uscendo dalla stanzetta, si erano trovati di fronte all’ultima scena che avrebbero voluto vedere: i due uomini vestiti di nero stavano parlando con il medico che si era occupato di Ruby e Sapphire, uno dei due teneva gli occhi fissi sulla cartella, l’altro alternava sguardi audaci alla stanza dove giaceva la ragazza di Hoenn e occhiatacce rivolte ai due di Kanto.
«Ok, dobbiamo avvertire Kalut» fu il rapido cambio di piano di Green.
«Dove lo hai visto l’ultima volta?» domandò Blue.
«Controllo fuori, quasi sicuramente si trova sul tetto...» il Capopalestra di Smeraldopoli, infilandosi già le maniche del cappotto, fece per imboccare l’uscita, ma il medico, smettendo di parlare con i due uomini vestiti di nero, si voltò di novanta gradi e intercettò sia lui che la sua ragazza, venendo loro incontro. Green non poté ignorarlo e rinunciò al suo piano di fuga improvvisato, bloccandosi sul posto.
Il medico venne verso di loro, era evidente che avesse necessità di comunicare qualcosa di importante. In secondo piano, i due uomini in nero tenevano d’occhio la situazione, avevano l’aria di coloro che hanno portato a termine il proprio lavoro con successo.
«Ci sono novità?» chiese Blue al medico, rompendo la tensione.
«Beh, i due agenti sono arrivati giusto in tempo per chiarire la situazione, stavamo per chiamare la polizia per le indagini a proposito dei vostri amici» sorrise quello.
Blue e Green rimasero basiti, non riuscendo a comprendere all’istante le parole appena sentite.
«Certo che, in un periodo come questo, uno si lascia facilmente condizionare da una stranezza simile» commentò l’uomo con il camice, passando oltre e lasciandoli lì, come due stoccafissi, a fissare il punto in cui fino a pochi secondi prima c’era il loro interlocutore.
Mentre i due uomini in nero lasciavano quel luogo, congelandoli con le loro peggiori occhiate, Green e Blue cominciarono lentamente a far girare le rotelle. Si chiesero entrambi se ciò che il medico aveva appena detto fosse stato interpretato in modo unanime da entrambi: i due agenti vestiti di nero avevano appena fornito un alibi a Ruby e Sapphire, evitando che fossero coinvolte autorità e forze dell’ordine.
«Per quale motivo avrebbero dovuto farlo?» si chiese Green.
«Ormai e indubbio, sono due della Faces, evidentemente anche loro necessitano di rimanere in incognito. Almeno qui a Sinnoh, dove ancora non esercitano alcun potere» indovinò Blue.
«Chissà quale scusa sostenuta da prove adeguate avranno fornito ai medici di questo ospedale per spiegare l’incidente avvenuto a Ruby e Sapphire».
«Non mi interessa, mi sta bene anche che li abbiano corrotti, finché riusciamo ad evitare ulteriori guai».
«Dovremmo capire che cosa è successo veramente, a questo punto» riprese il Capopalestra «andiamo a parlare con Sapphire».

La ragazza riaprì faticosamente i suoi occhi cerulei. Era stata imbottita di anestetici e sedativi dai medici che avevano deciso di sottoporla a tutti i test necessari. I vari responsi si trovavano nella cartella che era appesa al suo letto e Green li stava sfogliando con attenzione, tentando di decifrare alcuni termini medici che non aveva mai sentito. Blue, più premurosa, si era piazzata al lato del lettino e aspettava impaziente che la sua amica riprendesse contatto con il mondo reale. Nel frattempo, osservava il suo corpo ricoperto di linee blu e rosse, come tatuaggi di luce pulsante impressa sulla sua cute.
«Che è successo?» chiese la ragazza di Hoenn, con un filo di voce.
«Va tutto bene, Sapph» la rassicurò Blue «sei in ospedale».
«Lo so dove sono, come sta Ruby?» continuò, ancora rallentata dall’anestesia.
«Lui si sta ancora riprendendo, ma starà bene anche lui».
«Devo vederlo».
«Ti prego, resta ancora un po’ a letto»
«No, spostati» Sapphire tentava di sporgersi verso il bordo della branda.
«Sapph, devi riposare ora» Blue sembrava una di quelle infermiere timorose che l’avevano tenuta a riposo fino a quel momento.
«Blue, porca puttana, ero già in piedi e in condizioni perfette prima che i medici mi imbottissero di morfina, ho le due Gemme di Hoenn in corpo, sono praticamente immortale, lasciami scendere dal letto» inveì lei, perdendo quella cera pallida da malata terminale.
Blue comprese la reale situazione e, sentendosi una sciocca, permise a Sapphire di rimettersi in piedi. La Dexholder di Hoenn cercò immediatamente la sua borsa, che stranamente era rimasta saldamente attaccata alle sue spalle anche dopo l’incidente. Ne estrasse alcuni vestiti puliti. Scelse dei comodi jeans, una camicia rossa a quadri e un paio di stivali di pelle. Ignorò gli sguardi indagatori dei suoi amici a proposito dei suoi tatuaggi, avendo già dato le necessarie spiegazioni. Una volta chiuso l’ultimo bottone della camicia, in modo che il colletto coprisse persino le linee che si erano avventurate più lontano, volle immediatamente catapultarsi fuori da quella stanza che sapeva di disinfettante.
«Avete finito?» chiese ai due amici, che erano un po’ restii a seguirla.
«Un momento» fece Green, immergendosi con maggior fretta nella lettura della cartella clinica di Sapphire.
«Green, andiamo» insistette lei.
«Qui dice che durante l’operazione il tuo corpo continuava a rimarginare autonomamente le ferite» lesse Green «che non è stata necessaria assolutamente alcuna operazione, tranne la rimozione di un frammento di metallo che era rimasto all’interno del tuo addome».
Sapphire non sembrava interessata.
«A quanto pare, il continuo tentativo di rigenerazione del tuo corpo, incontrando questo corpo esterno, ha causato un’emorragia interna che ha intaccato la vascolarizzazione della tua parete uterina per un esteso lasso di tempo».
A quel punto, la ragazza sembrò mostrare una maggiore attenzione.
«C’è un alta probabilità che tu non possa più avere figli» proferì Green, glaciale.
Blue non riuscì a sostenere lo sguardo della sua amica. Sapphire attese qualche secondo invece di ribattere, mordendosi il labbro per un paio di volte. Sembrava cercare qualcosa con lo sguardo, senza riuscire a trovarlo.
«Mi dispiace, Sapph» mormorò il ragazzo.
«Non fa niente, abbiamo altro a cui pensare» la Dexholder ingoiò il boccone amaro e passò oltre. Uscì dalla stanza da sola, ma lasciò la porta aperta affinché Green e Blue la seguissero.
I tre camminarono a passo svelto verso la terapia intensiva. Sapphire guidava il triangolo, Kalut era ancora assente. Il percorso fu breve, i tre incrociarono qualche barella portata in fretta e furia dai chirurghi e numerosi medici che si chiedevano come mai dei civili in borghese avessero la possibilità di girare in un ospedale con la massima libertà. Nel frattempo, Blue e Green spiegarono a Sapphire cosa fosse successo con gli agenti Faces che, apparentemente, avevano impedito che la polizia venisse a sapere di tutta la vicenda.
Raggiunsero infine la stanza di Ruby, all’interno della quale si intravedeva il corpo del ragazzo ancora immerso in un profondo sonno. Sapphire rimase per qualche secondo attaccata al vetro, come una ventosa. Poi decise di entrare, contravvenendo a qualsiasi regola del buon senso ospedaliero.
«Dove vai?» le chiese Blue, allarmata.
«Devo restituirgli il favore» spiegò lei.
La ragazza si accostò al corpo del ragazzo, pallido e debole, in mezzo ai macchinari che lo tenevano in vita e alle garze che lasciavano cicatrizzare le sue ferite. Mise una mano sul suo petto, lasciandola passare sotto il camice.
A quel punto, si concentrò come meglio poté. Avvertì molte strane sensazioni imperversare contemporaneamente tra le sue sinapsi. Tra tutte, un forte sapore nostalgico. Ricordò dell’ultima volta che aveva tentato di fare la stessa cosa: erano passati più di sei anni. Eppure, ogni sua azione sembrava venir fuori in automatico.
Anche lei percepì l’immobilità dell’universo e chiuse gli occhi. Si sentì scomparire, frammentarsi in miliardi di particelle. Tornò immediatamente in sé, ricomponendosi alla perfezione.
«Sapphire...» mormorò Blue, alle sue spalle «che succede?»
«Ho appena ridato le gemme a Ruby» rispose lei, dopo una discreta attesa «per farlo guarire».
La ragazza riaprì gli occhi. Comprese di aver commesso un errore, di aver sbagliato qualcosa, di non aver fatto tutto in modo corretto. Sul corpo di Ruby non erano comparsi tatuaggi o linee blu e rosse, le gemme non erano entrate nel suo corpo.
Sapphire percepì nella mano qualcosa di liscio e compatto. Strinse il pugno ed estrasse il tutto dal camice di Ruby. Quando aprì la mano, ebbe un tuffo al cuore. Stava guardando due sassi, due sassi dalla forma prismatica irregolare e gli spigoli non smussati, con una leggera sfumatura blu e rossa che aleggiava al di sotto del loro normalissimo marrone argilloso. Le gemme si erano spente, lei le aveva appena cedute e Ruby era ancora in gravi condizioni.
«Oh no...» mormorò.
Da dietro, Green e Blue si avvicinarono, scattando in modalità allarme.
«No, cazzo!» esclamò Sapphire «No! No! No!»
Due medici, avendo notato l’intrusione, vennero a controllare la stanza del paziente.

“...la condizione è critica, ad Austropoli, dove il più articolato attacco terroristico degli ultimi anni tiene la popolazione in una morsa da ormai diversi giorni...” diceva la presentatrice del notiziario.
Sapphire stringeva i denti, piena di rabbia. Tutto il caos degli ultimi giorni sembrava essere scoppiato soltanto per prenderli in giro. Così, come un gioco malato gestito da folli divinità che provavano gusto nel farli impazzire. Poco prima, era stata cacciata dalla stanza di Ruby, il quale era ancora sotto sedativi dopo l’intervento. In mano, stringeva quegli inutili sassi con tanta forza da farsi male alla palma della mano. Accanto a lei, Blue e Green rimanevano impassibili, seduti su un divanetto, silenziosi, inerti.
I medici dicevano che Ruby si sarebbe svegliato a breve, ma avrebbe impiegato molto di più a riprendersi completamente. Ad ogni modo, nessuno sapeva più che strada prendere. Kalut aveva accennato di aver trovato qualcosa, sulle montagne, mentre il viaggio di tutti gli altri era risultato essere un buco nell’acqua, ma non aveva specificato ed era pure scomparso da un momento all’altro. Quell’essere era utile ma spaventosamente inquietante.
«Sapphire, che cosa è successo a te e Ruby?» chiese Green, ad un certo punto.
Blue sembrò tendersi verso il suo ragazzo, come a chiedergli di andarci piano con le domande, ma la ragazza di Hoenn non si curò di questo.
«Siamo arrivati sulla Vetta Lancia, il nostro viaggio non aveva portato a nulla» cominciò «siamo stati attaccati da un Allenatore, un ragazzo, avrà avuto la nostra stessa età. Prima ha tentato di farci uccidere dai suoi Pokémon, ma gli abbiamo tenuto testa. A quel punto, ci ha lanciato contro una granata...» concluse.
Blue e Green rimasero a bocca aperta dall’eccessiva semplicità della storia. Non riuscivano a credere che fosse veramente tutto lì.
«Nient’altro, davvero?» domandò Green, indelicato.
«Solo sangue e tanto dolore, non ricordo di aver provato un’agonia simile in tutta la mia vita» rispose Sapphire.
Blue lo aveva notato, la loro amica aveva un tono di voce differente rispetto ai loro incontri precedenti. Sembrava più fredda, più distaccata, più metallica. Come se fosse stata radicalmente cambiata dalla sofferenza.
«Avete qualche idea su chi potesse essere?» domandò Blue.
«Non so Ruby, ma io no...» fece lei «era vestito come un agente della Faces, ma ha detto di non essere più uno di loro» ricordò poi Sapphire.
«In che senso?»
«Non lo so e non mi interessa, non so da dove iniziare per cercarlo, forse dagli archivi degli agenti Faces, ma come ben sai sarebbe inutile bussare alla loro porta e chiedere di poter dare un’occhiata ai documenti riservati» concluse la ragazza di Hoenn.
«Ha ragione, dobbiamo concentrarci su ciò che Kalut ha trovato... se solo si prendesse la briga di spiegarci» fece Green.
Calò il silenzio tra i tre Dexholder. Nessuno sapeva come continuare la conversazione. Sapphire continuava a masticarsi il labbro per sfogare la rabbia, Green era solo impaziente per via di quell’ennesimo momento morto, e Blue sembrava combattere contro un suo forte istinto.
La ragazza di Kanto si sedette accanto all’amica di Hoenn, come per rendere più intima la loro conversazione. Quasi si vergognava di rivolgerle quella domanda.
«Sapph, il potere di quelle Gemme...» chiese, alludendo agli odiati sassi che l’amica stava stringendo in mano «avrebbe potuto fare qualcosa per Silver, Crystal o Emerald?»
Sapphire non fu felice di rispondere a quella domanda. Per diecimila motivi diversi, ma soprattutto perché tutto ciò che avrebbe voluto in quel momento era dimenticare ciò che di brutto stava accadendo ai suoi amici.
«No» mormorò «prima di tutto perché sono le Gemme a scegliere il corpo ospite e non il contrario. Con me e Ruby ha funzionato perché le avevamo già assorbite anni fa, durante la battaglia di Hoenn».
Blue annuì, perdendo già ogni speranza. Non che la faccenda avesse alcuna importanza, ormai.
In quel silenzio, con un sottofondo composto da voci di medici impegnati nel loro lavoro e altri rumori di ospedale, un amara sonnolenza scese sui tre Dexholder. Forse qualcosa sarebbe cambiato, forse sarebbero riusciti a salvare il mondo ancora una volta. Ma per il momento non era importante. Era difficile pensare al mondo intero, quando le loro stesse vite sembravano cadere come foglie di un albero in autunno, prive di vita, pietrificate.

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